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Alcuni apparati critici

Marziano Bernardi

Altro grato incontro quello col pittore Michele Baretta nella galleria Fogliato. Nato a Vigone, allievo degli “Artigianelli”, questo schietto e aristocratico paesista si è fatto da sé, e si è fatto bene. Lavorando su una linea di rappresentazione realistica di derivazione, diciamo così, ottocentesca, ha saputo trovare un linguaggio sciolto e agile personalissimo, rapido nei tocchi, pronto nel racconto. La sua resa pittorica sta tra modi piemontesi e modi lombardi, richiamando alla memoria, in certi momenti, sia il Calderini più libero che il Gola più moderato nel colore. Egli dipinge con un fervore, con una foga di pennellata che tuttavia non confonde mai l’esattezza della visione, non compromette mai la delicatezza dei toni, la finezza delle trasparenze. Ed anche nella figura dimostra una padronanza di mezzi che sorprende in un pittore così sottilmente interprete del paesaggio

Luciano Pistoi

Michele Baretta, un pittore che vive a Vigone, si presenta per la prima volta con una mostra personale al pubblico torinese. Diciotto suoi dipinti e alcune tempere sono esposte in questi giorni alla Galleria la Bussola. Anche per Baretta il paesaggio è il motivo d’ispirazione dominante, benché non manchino in questa sua personale alcuni riusciti dipinti di figure, come il Ritratto di bambina. Quello che subito distingue i risultati raggiunti da Baretta sono una squisita sensibilità coloristica e un tocco acerbo e nervoso. Le sue luminosità delicate e fragili risentono dell’influenza di un altro stimato paesaggista piemontese, il Bertinaria, ma alcune vedute di montagna, il mazzo di fiori a tempera, rivelano già una spiccata personalità e gentilezza singolari.

Marziano Bernardi

Michele Baretta, un solitario della provincia piemontese (e qui sono i suoi motivi prediletti, da Vigone a Tenda), è nel giro di due anni alla sua seconda “personale” torinese, nel ’51 da Fogliato, oggi alla “Bussola”. Volessimo trovar nel suo segno veloce, spesso saettante, grosso modo impressionistico, un riferimento ottocentesco, diremmo che la rapida pennellata trasversale, quando segna linee paesaggistiche o definisce la forma umana, rammenta quella di Boldini. E aiuta, del resto qua e là l’illusione la tonalità fra il grigio spento e il madreperla traslucido che egli ama imprimere – persino con troppa uniformità – ai suoi studi. In lui si nota, anzi, un processo di schiarimento cromatico da due o tre anni in qua : da una tavolozza piuttosto bassa e scura, è passato a questi registri chiari, luminosi, a gamme eleganti, lievi, un po’ fragili. Questa fluidità forse gli deriva anche dalla frequente pratica dell’affresco, che gli suggerisce colori liquidi, trasparenti, condotti a velature leggerissime su una preparazione a colla e cementite; ch’egli va accentuando di qualche tocco di vernice. Il suo contenuto pittorico è aperto, sereno, cordiale, nella figura anche patetico. E l’insieme risulta di una piacevolezza che non sminuisce la serietà dell’impegno. Abbiamo sott’occhio qualche sua illustrazione per un volumetto di Poesia di provincia ora pubblicato da Ugo Marino, e la vivezza, la modernità del segno (un cavallo è reso quasi alla Spazzapan) appaiono soddisfacenti.

Luigi Carluccio

Paesaggi anche alla Galleria La Bussola (e qualche delicata apparizione di fiori e di bimbi) nella mostra personale di Michele Baretta. Ciò che sorprende in questo pittore provinciale (vive a Vigone in quel di Pinerolo) è la nitidezza della percezione, la limpidezza con cui prende pittoricamente possesso della natura. La sua è una sensibilità piuttosto descrittiva, che s’esprime minutamente con una grafia quasi filigranata, e ricorda la tela di ragno nella trama, sulla quale, qua e là, s’aggrumano note di colore purissimo, verdi veronesi, cobalti, garanze e gialli che dan la chiave cromatica del dipinto. Ci sarebbero dei nomi per indicare affinità sicure; ma resterebbero come punti di riferimento superficiali. A Baretta manca per ora la forza di sintesi (un indizio c’è nel “panni al sole su l’aia”) ma l’analisi che egli compie di un ghiaieto, di un paese alpino, di un vecchio mulino o d’un ramo di fiori, strutturalmente e coloristicamente è vigile, serrata cosicché l’immagine finale risulta plasticamente conclusa, e concede ancora un margine alla meditazione affettuosa, come nella bella pagina della veduta di Vigone.

Renzo Romero

Baretta (pittore provinciale come alcuni amano definirlo) espone le sue opere frutto di lunghi ripensamenti che di provinciale, a ben guardare, non hanno nulla.

Infatti, se non conoscessimo l’autore, che è di un paese vicino a Torino (Vigone) questi dipinti potrebbero benissimo essere attribuiti ad un artista scaltrito che costruisce la propria realtà, ben conoscendo il valore poetico di estetiche diverse.

Baretta dipinge e contemporaneamente disegna tracciando col pennello eleganti figurazioni e, senza insistere nella descrizione dei particolari, ci suggerisce l’esistenza di una realtà vista qualche volta come attraverso un leggerissimo velo madreperlaceo che smorzando i colori rende indefiniti i contorni : ma basta mettere alla distanza giusta il quadro perché i visi, come nella Bambina, diventino plastici, ed i piani, le case, le montagne assumano il loro giusto aspetto

Renzo Guasco

Alla Bussola espone Michele Baretta. Sappiamo che vive a Vigone e che si dedica all’affresco. La sua impostazione non è mai coloristica. Su di una tonalità generale grigio azzurra, che non varia mai nei suoi quadri, paesaggi, fiori, figure sono evocati con una fitta trama di linee tracciate con nervosismo e bravura, appena ravvivata qua e là da qualche grumo di colore puro. Il suo pregio ci pare risieda tutto nel segno capace di fermare il carattere dei nostri paesi alpini, Claviere, Tenda, oppure la forma della ruota di un vecchio mulino ad acqua, o la linea di un greto.

L. Bertacchini

Baretta, con le sue pennellate veloci e fluide, intesse una trama disinvolta che pare animare i suoi soggetti, siano figure, fiori o paesaggi, in un mondo madreperlaceo di riflessi, di annotazioni vivaci, giocate su velature morbide e trasparenti.

E’ una pittura di grazia tonale e, nello stesso tempo, di una grafia abilissima, piacevolmente descrittiva che tutto annota nervosamente con grazia e brio.

Anche se il pittore pare eccessivamente compiacersi della sua felice vena e si abbandona agli eccessi boldiniani di un elegante virtuosismo, non si può dire manchi in lui l’impegno plastico maggiormente sentito nella bella veduta di Cuneo ed in qualche approfondito ritratto.

Angelo Dragone

Già noto a Torino, per avervi anche esposto alla Bussola e, prima, da Fogliato dove appunto in questi giorni è tornato con una nuova personale, Michele Baretta sostanzialmente riconferma quei caratteri di piacevole freschezza che ai suoi quadri hanno guadagnato il maggior numero di consensi.

Nella sua stessa Vigone, come durante i viaggi che l’hanno portato in Francia, in Riviera e ancora a Venezia, la sua pittura si affida sempre a quelle rapide notazioni grafiche, cui sembra legarsi, riuscendone come sorretto, il colore dall’ampia ed abile stesura.

V’è un che di essenziale in quella materia cromatica che nella immediata impressione ritrova gli elementi capaci di rendere il paesaggio, l’oggetto o la figura, il fiore con quell’aderenza al dato naturalistico che gli concilia la simpatia del pubblico, ma insieme con una leggerezza d’immagini un po’ fantasiosa, ogni volta felicemente trovata, qua e là un poco illustrativa, ma sincera, perché così è nella stessa natura del pittore.

Sessanta opere lo possono ben confermare, oltre ai precedenti, in modo evidente: vibranti negli effetti luminosi, con un che di immediato che si sente anche nelle macchiette colte rapidamente in punta di pennello, ricche di spunti grafici e dove il colore sembra stemperarsi nella luce, lasciando un’impronta talvolta lieve, ma di pungente efficacia; si che l’opera ha in una sciolta scorrevolezza la sua più genuina attrattiva.

Marziano Bernardi

Alla “Galleria Fogliato” ritorno del pittore di Vigone, Michele Baretta.

Paesaggi, figure, fiori. La ricerca della vibrazione luminosa da ottenere con la pennellata rapida, corsiva, è la sua nota dominante. E il suo colore è sempre felicemente, piacevolmente intonato, anche quando resta di pura superficie. S’egli ne tentasse, con maggior meditazione, un approfondimento all’eccitazione epidermica della sua pittura subentrerebbe un’interiorità poetica più persuasiva.

Filippo Scroppo

Il vigonese Michele Baretta nelle sale della galleria Fogliato, espone figure, fiori e paesaggi nel numero di 43, tutti costruiti ai limiti di una certa pittura, quasi Ottocento, quasi Novecento, senza problemi né ansie, caratteristiche di non poca pittura del nostro tempo. Il mestiere e la sensibilità al rapporto coloristico sono notevoli, come pure ammirevole è l’impegno a superare certe facilissime posizioni provinciali, spostandosi in terra di Francia, dove ha dipinto le cinque vedute che sono tra le più belle cose della sua personale.

Luigi Carluccio

Questo pittore, che può essere correttamente chiamato “provinciale” giacchè dalla natia Vigone si allontana soltanto quel che basta per cercare nutrimento di spettacoli reali alla sua fantasia, nella mostra attuale alla Galleria Fogliato si presenta in netto progresso.

Un senso del colore che alterna febbrilmente zone quasi dilavate con sottili ragnatele sulle quali si aggruma la luce, è la nota tipica di Baretta; quella che gli consente di realizzare gradevoli immagini di paese, Padova o Camogli, Venezia o Parigi, e altre di fiori e di figure, tutte cariche di una vibrazione che ricorda alla lontana De Pisis e Kokoscka. La libertà del segno deve però ancora raggiungere una completa unità di stile e forza di sintesi. Soprattutto quando, nei paesaggi, dalle cose inanimate l’artista passa alla definizione della folla minuta che occasionalmente occupa la scena.

Angelo Dragone

Figure, fiori e paesaggi costruiscono i temi in cui si articola la personale che Michele Baretta ha allestito alla Galleria Fogliato, ma la divisione per generi che ne ha dato l’autore, non tocca naturalmente la pittura che tutti li accomuna in una sua rapida notazione fatta di colore e segno insieme.

Questa elegante modulazione di carattere postimpressionistico cui Baretta è giunto fa ormai parte della personalità dell’artista insieme al senso di facile spontaneità che piacevolmente colpisce nella sua opera.

Mario Carlo Giordano

Sabato 17 ottobre, si è inaugurata, nella Galleria Fogliato, in Via Mazzini n. 5 a Torino, una mostra personale del pittore Michele Baretta sul tema: Figure, Fiori e Paesaggi.

Due fatti hanno caratterizzato sabato l’inaugurazione della mostra personale di Michele Baretta: I diciotto quadri venduti al “vernissage”, un fatto che da tempo a Torino non si ricordava, ed il significativo omaggio del grande ed onesto Cesare Maggi.

Cesare Maggi, dopo aver visitato con somma attenzione la mostra, soffermandosi lungamente di fronte ad alcune delle più significative opere esposte, prima di lasciare la galleria, ha sostato un momento al tavolo centrale della prima sala, tracciando con mano ferma sul catalogo ivi posato: “Con tanta ammirazione, cordialissimi saluti, Cesare Maggi”. Un omaggio spontaneo e discreto, un atto di squisita cortesia per un pittore che il vasto pubblico presente, pubblico di artisti, di intenditori e di collezionisti, ha definito con spontanea decisione: sommamente elegante.

Un soffio di poesia, un caldo discorso, un intimo racconto pieno di fascino e di grazia, ecco in sostanza il parere dei visitatori invero numerosi alla prima giornata della personale Torinese del nostro pittore.

……. Un rapido sguardo dall’elegante figura di Bianca, alla superba figura sdraiata, dalle rose gialle alle quattro impressioni parigine, bastano a fugare ogni prevenzione. L’irruente atmosfera della sua Padova, a cui si contrappone mirabilmente Camogli, sono indice della prepotente forza con la quale l’artista sa esprimere il suo sentire il quale, a volte, come in Assisi si stempera in una tersissima atmosfera poetica che rapisce e distende……

Luigi Carluccio

La mostra aperta in questi giorni alla Galleria Fogliato mi pare che riveli bene quale è il temperamento artistico e umano del pittore di Pinerolo; una vera sete di conoscenza da una parte, una vera febbre di trasmissione dall’altra.

Le affinità di Baretta con l’estro graffiato, nervoso, immediato di De Pisis sono già state tante volte sottolineate, ma, in questo momento, esse hanno raggiunto il loro acme e rischiano di disperdersi per un eccesso di interpretazione; difatti coinvolgono oramai nelle loro eccitazioni grafico-cromatiche moduli diversi, che ricordano Garino o Kokoska; anche se, nelle varie vedute di paesi lontani e quasi sempre formicolanti di folla, l’impegno di trascrivere concitatamente, senza tuttavia perdere un solo particolare, come fa il buon cronista, viene puntualmente soddisfatto tra molte piacevolezze di disegno, di colore, di definizione e, qualche volta, illuminato da una intuizione di luce ben disposta.

L’Art à l’etranger

Si la peinture de Michele Baretta est directe, stylisée, sans détours, s’il veut communiquer sans violence et sans équivoque, l’artiste est loin de s’arrêter à la facilité. C’est toute l’âme d’un Piemontais qu’il exprime dans ses toiles. Le style de M. Baretta est un langage où se pose une note de maturité. Derrière ses teintes claires, il existe un lyrisme qui monte et s’exhale. La fusion stylistique de certains paysages et de nombreuses silhouettes est une continuelle interprétation de la vision de l’artiste.

Michele Baretta a atteint une forme d’expression résolue, tenace, qui rend l’art agréable à l’œil et en fait une mélodie aux accents aisés modelés.

A l’exposition des arts figuratifs de Turin, l’artiste a présenté « La plage ». Pour le plaisir citons aussi Jeune fille à la guitare, Etude en noir et Résistance.

Augusto Minucci

Michele Baretta, nato a Vigone nel 1916, espone alla Galleria Fogliato, via Mazzini 9, oltre cinquanta dipinti ad olio che rappresentano la sua produzione di questi ultimi tempi. Chi conosce la pittura dell’artista torinese, sa che Baretta non è complessato né dalle mode né dalle ricerche. Agile disegnatore, getta giù le sue figure con disinvoltura riuscendo sempre a ricavarne un gradevole effetto decorativo.

Anche in questa mostra non si discosta dai suoi temi preferiti : fragili figure di adolescenti, nude o vestite, riprese nel suo atelier e definite con colori tenui (rosa, azzurri teneri, pallidi gialli) che sembrano potersi cancellare con un soffio. Non manca qualche natura morta e qualche paesaggio. In questi ultimi ci sembra che l’artista abbia saputo andare al di là della semplice rappresentazione per cogliere l’intima essenza del soggetto.

Ignazio Mormino STATO DI GRAZIA

Sono poche le sorprese (intendiamo le sorprese piacevoli) che può offrirci oggi la pittura. Questa mostra è, appunto, una delle poche. I dipinti di Michele Baretta rompono una lunga e tetra stagione di pessimismo, di rinunzia, d’angoscia; portano una nota di gioia nella nostra anima, nella nostra vita; ci invitano a riconsiderare il mondo sotto una prospettiva diversa, lontana dall’economia, dalla sociologia, dalla demagogia; ci invitano, in una parola, a ritrovare l’amore.

Da moltissimi anni, Baretta insegue la bellezza con una tenacia ed una serietà che gli fanno onore. La donna si trasfigura – nelle sue tele – e spesso si idealizza, pur senza perdere fascino e malizia. Direi anzi che, oggi, le donne più “misteriose” della pittura italiana sono proprio quelle di Baretta, quelle che ritrovate in queste sale. Mistero come suggestione, come punto d’arrivo di una condizione femminile sospesa tra lo spirito e la carne, tra la ragione e la follia. Mistero come proiezione (dolcissima) della bellezza.

Non si può ignorare questo richiamo. Non si può disertare questa mostra. La donna, centro dell’universo, ritrova qui il suo fulgore, la sua apoteosi. In chiave tutta moderna (aliena cioè dalla pomposità ottocentesca) Baretta celebra i miti del mondo nuovo, esalta la libertà femminile, ma non perde mai di vista la grazia, complemento della bellezza. Perciò le sue donne, tutte affascinanti, non sono mai volgari. Nude o vestite, sono deliziosamente provocanti: stuzzicano, non stancano. Solo una grande sensibilità umana ed una felice intuizione artistica potevano generare questo stato di grazia, questo miracolo espressivo.

Baretta è veramente un pittore importante, che va conosciuto ed apprezzato. Nella figura come nel paesaggio (e in questa mostra ce ne sono di bellissimi) raggiunge altissimi risultati emozionali, senza mai forzare, senza mai eccedere: restando, anzi, al di sotto del suo “standard”, in un’atmosfera di delicatezza che è tipicamente piemontese. Non troverete mai pesante la sua tavolozza. Una leggerezza boldiniana guida la sua mano verso forme e verso colori di rara eleganza.

Siamo lieti che, uscendo dalla campagna torinese in cui vive beatamente, lontano da ogni clamore mondano, questo valente e sensibile artista abbia scelto Milano per presentare le sue opere. L’Italia paga ancora, con molti squilibri regionali, la sua imperfetta unità. Cerchiamo di raggiungerla, almeno, nella pittura. Siamo certi che Baretta – notissimo a Torino e in tutto il Piemonte – dopo questa mostra lo sarà anche a Milano, e in tutta Italia. E’ ciò che merita: né più né meno.

Luciano Budigna

Vorrei non si equivocasse sul significato della citazione renoiriana posta a epigrafe di questa nota : il riferimento è valido soltanto nella sottile misura di una affinità temperamentale di fondo fra i due artisti nel rapporto con le immagini della realtà naturale intesa come esclusivo movente dell’esercizio pittorico. (Del resto, come ogni persona dabbene dovrebbe sapere, fra tutti i grandi protagonisti dell’impressionismo, fu proprio Renoir ad arrivare, nella sua ultima stagione alla più decisa emancipazione dagli schemi figurali grazie soprattutto all’altissima virtuosità coloristica).

In questo senso – nel senso, cioè, dell’ ”idea” della pittura che è alla base dell’opera di Baretta – ogni tentativo di connotazione culturale o di collocazione cronistorica viene subito vanificato dalla consapevolezza, che questi dipinti perentoriamente inducono nei loro fruitori, della estrema libertà dell’operazione poetica che in essi si svolge. E’ una libertà che nasce e si determina dalla tensione necessitante dell’espressione diretta e immediata di sé nella raffigurazione dei momenti emozionali che la provocano; una tensione che non sopporta remore problematiche o costrizioni intellettualistiche (e che potrebbe essere condizionata se mai, unicamente dalle pastoie della tecnica; ma non è chi non comprenda come da quelle pastoie Baretta si sia sciolto da gran tempo nel conseguimento di un magistero linguistico fra i più abili, raffinati e autorevoli della nostra pittura d’oggi).

Della libertà, come condizione artistica, il frutto più prezioso è certamente la felicità operativa : una felicità che in Michele Baretta si manifesta nel fervore, nell’abbondanza, nella scioltezza del dipingere, anche, e forse più sintomaticamente ancora, nella piena, continua disponibilità alle emozioni, ai sentimenti, alle meditazioni che le immagini create perpetuamente offrono a chi abbia cuore sincero e generoso, a chi sia vivo e capace di vita, a chi in sé ritenga quella “salute” di cui parlava Montaigne.

Non occorre conoscere personalmente questo pittore che da sempre vive e lavora nella quiete di una sua appartata area piemontese (dove puntualmente riporta le belle prede di luce e di forme che di tanto in tanto va a catturare per il vasto mondo), non occorre certo conoscerlo di persona per essere convinti della sua “salute” : ogni quadro ne è patente testimonianza.

E’ una salute soprattutto morale, quella di Michele Baretta; e dunque alla sua pittura ben si addice anche l’attributo dell’onestà, della probità. Il che, di questi tempi così cialtroni anche nei domini dell’arte, non è certamente un merito minore.

Marziano Bernardi

Ne sia o no cosciente, Michele Baretta, 56 anni, di Vigone presso Torino, benché abbia anche affrescato cupole di chiese, ha un temperamento d’illustratore. Lo dicono queste gentili donnine, di solito poco vestite, che escono vivissime da una pittura rapida, fresca, elegante, esposte da “Quaglino Incontri”, piazza San Carlo 177; ed anche meglio degli oli, le tempere di delicato colore, a toni soffusi, che starebbero benissimo in copertina o sulla “patinata” d’un periodico mondano. Ma Baretta, pittore di sicura esperienza e vasta produzione, è anche paesaggista, e i suoi motivi della Camargue, trattati con la medesima spigliata sicurezza di disegno, sono quanto mai piacevoli.

Angelo Dragone

Alla Galleria Quaglino-Incontri (piazza S. Carlo 177) espone Michele Baretta, nato a Vigone 56 anni fa, pittore di chiese ed autore di non dimenticate severe sacre composizioni cui si deve oggi una fresca e colorita parata di sciolti paesaggi della Camargue e di più sciolte ancora femminee beltà: le “belle prede di luce e di forma – come scrive Budigna nel ricco catalogo illustrato – che di tanto in tanto (Baretta) va a catturare per il vasto mondo”.

Oli e tempere non sono infatti che il mezzo sapientemente dosato di quella pittura boldinianamente felice nel delineare, con pochi tratti ed un massimo di piacevolezza, le gentili fanciulle che hanno spesso posato nei loro giovanili mini-négligés, quasi per offrire al Baretta il motivo con cui misurare la sicurezza del suo disegno e l’ariosa limpidezza della sua tavolozza.

Vittorio Bottino

Evidentemente i mezzi lineari sono alla base dello stile di Michele Baretta, il soggetto del quadro è immediatamente leggibile nel disegno, le cui inflessioni sensibilissime traducono anche le più sottili sfumature del sentimento dell’artista. Qui dobbiamo aprire una parentesi : si è detto del soggetto ma è più logico precisare di due soggetti, in quanto, nella maggior parte delle opere, il fondo arabescato, fantasioso, talvolta con coperture astratte, controbilancia una figura femminile in primo piano, figura moderna, sinuosa che potrebbe essere l’emblema di un inno alla giovinezza. In queste donne Baretta rende, con una ricca tavolozza, tutte le sfumature della carne come degli abiti, per fissare gli sfondi anticonvenzionali spesso divisi in zone dissimili di toni disparati sui quali si staglia appunto la figura contornata, sempre mobile e mai uguale, che gli permette di ottenere una musicalità proteiforme. E’ proprio in osservanza a questo stile, che accosta la libertà e l’acutezza dell’espressione modernista al rigore della tradizione, che Michele Baretta può essere annoverato tra i virtuosi, capace di spostare la tematica anche in altri campi. Ne sono palese riprova i paesaggi della Camargue con cavalli e uomini a tessere strane tele geometriche tra stagni, case e piante; il tutto appena accennato ma inciso in arcaizzante atmosfera.

La concezione umanistica di Michele Baretta non si sposta su “messaggi” od “impegni” rimane illuminata di bellezza, l’unico tema del colloquio che l’artista vuole intessere con il pubblico.

Malgrado la prima apparenza, quella di Baretta non è pittura “materialistica”, indubbiamente esiste in essa un significato, oppure tanti significati quanti ognuno ne vuole dare. L’idea winkelmaniana (Johann Winkelmann enunciò per primo i canoni teorici del neoclassicismo conferendo altresì veste scientifica alla storia dell’arte) della “quieta grandiosità, della bellezza ideale che, come l’acqua, è tanto più buona quanto più pura, tanto più limpida quanto più ferma” trova in Michele Baretta un moderno esecutore che compone levitanti poemi senza chiedersi troppi perché, pago che il quadro sia puro e limpido.

Gian Giorgio Massara

La “Fogliato”, una Galleria assai qualificata che invita artisti d’arte squisitamente figurativa; Michele Baretta, un pittore che i Galleristi seguono da oltre venticinque anni con al proprio attivo una serie di Mostre ispirate prevalentemente all’immagine femminile e un Collezionismo attento alla sua produzione.

Nell’attuale Esposizione l’artista di Vigone insiste nel presentare nuovi soggetti : i paesaggi della Camargue, la raffigurazione dei vicoli del suo paese nel giorno di mercato – pretesto questo per storicizzare un angolo di vecchio Piemonte – qualche composizione floreale, opere sacre in cui, scordato il viso di modelle sognanti, realizza un “Cristo in croce” dal corpo verdastro, profilato contro un cielo acceso nel quale spasima un cavallo e vive una Madre già illuminata – in quanto donna prima ancora che Vergine – dalla luce della Redenzione.

Altra volta il Cristo è solo a vivere il dramma della croce – le membra rigide contrapposte al perizoma ondeggiante tradotto dall’artista in luminescente brano di pittura - , solo nel colloquio mistico con un Dio giudice dell’Umanità.

Forse al pubblico piaceranno di più le immagini di giovani donne, modelle, indossatrici, al limite “donnine di vita”, che Baretta ha realizzato per la mostra torinese e che ripropongono i temi che lo hanno reso celebre.

Ho voluto, prima che con il pittore, conversare con Elsa, la notissima modella, pittrice lei stessa, che lo segue talvolta durante i viaggi e che posa per intere giornate nello studio di Vigone; ho saputo così che Baretta esige che l’opera si realizzi nell’arco di poche ore (diversamente la distrugge) e che disegna continuamente, affascinato dai particolari della natura, dai cavalli liberi nelle pianure di Francia, dagli alberi dei velieri che s’ergono asciutti come i tronchi delle foreste spinte sino in riva al mare.

Tali immagini lo spettatore troverà espresse nei vari paesaggi ove s’alternano brevi specchi d’acqua e facciate bianchissime, siepi rossicce in contrasto con i verdi pallidi d’un’incipiente primavera o impressioni desunte da una natura provvisoriamente sconvolta da un colpo di vento.

Vedendo le opere di Baretta ci si deve sovente rifare al ricordo – è il caso della chiesa di Celle o di certi strumenti musicali accettati essenzialmente come “forma” – poiché il pittore tende ad abbreviare e sintetizzare il proprio fare pittorico nell’intento di costringerci a partecipare a un rinnovato atto di creatività, non più di natura bensì di arte.

Superfluo significare che questa nuova Personale costituisce un ulteriore e valido momento nella produzione del pittore piemontese che attraverso gli anni si è mantenuto fedele a una tematica che persuade e che tuttavia tende a continuamente rinnovare recuperando sentimenti e brani di natura : Baretta impressiona così il visitatore che assiste a uno spettacolo di immagini e colori e che su tali scene s’illude di brevemente arrestare il proprio quotidiano, inesorabile, faticoso esistere.

Angelo Dragone

Con una fitta messe di oli, tempere, acquarelli e chine, il vigonese Michele Baretta si ripresenta alla Galleria “Fogliato” (via Mazzini 9) che è un po’ il teatro delle sue rassegne torinesi, fin da quando vi espose all’inizio degli anni Cinquanta.

Da allora la tavolozza di Baretta si è sempre più schiarita, la pennellata s’è fatta più sottile e nervosa. Si direbbe quasi “boldineggi” giostrando tra modelle e cavalli, tra qualche viva espressione di ambiente e i quasi rari paesaggi; con una materia intrisa di luce, e quel suo fare sciolto, sino allo svolazzo gioioso, ma capace ancora, come nei “Crocifissi” di drammatiche cadenze.

Adalberto Rossi

Sempre sicuro nel segno e nella stesura del colore. Michele Baretta ha un suo inconfondibile linguaggio. Prova convincente è nel fatto, avvenuto in questi giorni alla presenza del sottoscritto, che un tizio, non certo intenditore d’arte e neppure occasionale acquirente, in una mostra collettiva tra diversi quadri subito individuò quello di Baretta. L’opera rappresentava una giovinetta che sta leggendo, dipinta oltre dieci anni fa

Il disegno di getto gli deriva forse dall’essere affreschista, che ha al suo attivo numerose opere in chiese e case private, ma soprattutto dall’innata capacità di fermare la figura, il paesaggio e le cose, con occhio rapace, nella struttura essenziale. Tutti i colori fanno parte della sua tavolozza, distribuiti in toni acuti in accorta dosatura, che i toni bassi dei fondi, grigi e cinerini, mettono in risalto come note squillanti in accordo perfetto col dipinto.

I disegni, gli acquarelli e le tempere, esposti all’A.I.C. di via Accademia Albertina, immediati nell’esecuzione, confermano la continuità di stile e la personalità dell’artista.

Baretta disegna e dipinge paesaggi, fiori e soprattutto figure. Il paesaggio è sempre impaginato con inquadrature nuove, in scorci impensati, in vedute che interpretano la sensazione visiva con originalità di percezione.

I fiori recisi, di solito posti in un vaso in ordine sparso, rivelano calibrate accensioni cromatiche, che puntualizzano ed esaltano la composizione pittorica.

Nel bell’acquarello dei “Pescatori”, il quale purtroppo è stato rubato presso la tipografia che ha composto il catalogo, il paesaggio sul fondo ed i tre pescatori in primo piano, tesi nello sforzo di tirare le reti a riva, vi è una particolare forza espressiva, alla quale concorrono contemporaneamente l’inquadratura, il colore ed il disegno….

Franco Poma

Alla Galleria Ducale (piazza Ducale 6) espone il pittore piemontese Michele Baretta, che ha acquisito, soprattutto in Piemonte, una larga notorietà sia per la qualità originale delle sue opere, sia per i prestigiosi riconoscimenti che ha ottenuto dalla critica. La sua maturazione artistica è il frutto di una volontà tenace, di una attenzione personale agli sviluppi dell’arte contemporanea: si tratta di un pittore più per istinto ed intima scelta vocazionale che per formazione accademica. E’ certamente questa la ragione della sua originalità, della sua ricerca autonoma di una verità poetica senza i condizionamenti che, purtroppo, le mode impongono anche agli artisti più significativi.

…..E da allora ne ha fatta di strada: come attestano i riconoscimenti che ha ottenuto dalla critica più avvertita. A Torino, città non facile alle lodi gratuite, soprattutto nel campo delle arti figurative, hanno,scritto di lui gli studiosi più eminenti, e qui basti citare Carluccio, Bernardi e Dragone; ma anche nel resto d’Italia la sua pittura è stata valutata con favore dalla critica, in occasione delle varie mostre che Baretta ha tenuto nelle diverse città: e mi sembrano esemplari le osservazioni avanzate da critici come Monteverdi, Mormino e Budigna.

Dal catalogo di presentazione si ricava che questo pittore è anche un ritrattista che sa cogliere i sentimenti più intimi delle figure rappresentate. Alla Galleria d’Arte Ducale non figurano ritratti, e mi sembra questa un’occasione propizia perché in futuro si organizzi una mostra dedicata a tale difficile specialità. Sono invece presenti numerosi paesaggi, e anche figure, che bastano a dare un’idea del mondo poetico di Baretta . La sua è una pittura agile e veloce, che fissa nel segno rapido, quasi stenografico, le immagini in modo che queste conservino una loro dinamica, una forza di movimento….

Albino Galvano

…..Del resto, come ci è accaduto di rilevare in queste pagine, nella Camargue Baretta ha trovato un’ispirazione che investiva anche i suoi gusti di uomo. Gente semplice, scontrosa, rude ma schietta; un paesaggio che è natura più che campagna, la libertà dei cavalli bradi; perché il cavallo è un altro fra i motivi ispiratori da Baretta preferiti, sia che pascoli liberamente (Camargue, 1973 o sia docile all’uomo (Mariage à St. Marie, 1971) o, infine, che il pittore, in una fase precedente del proprio lavoro lo ami trasfigurato quasi araldicamente, colto nel pieno di una sfrenata galoppata – e il pittore è tanto cosciente che questa visione “eroica” del cavallo è frutto di eccitata memoria non di osservazione da intitolare il quadro Fantasia, (1964) come fantastico ci era apparso il cavallo del suo San Giorgio – sempre l’immagine di questo animale, quasi simbolo di una pienezza istintuale di un vigore primigenio di vita, è per lui un’immagine cara ed eccitante. Non sarà il caso di fare del facile intellettualismo scomodando le categorie junghiane per ricordare che fra le figure archetipiche dall’analista illustrate, l’immagine onirica del cavallo sfrenato rappresenta l’empito dell’inconscio, volta a volta indomato o reso docile alla ragione, ma è certo che nella immagine di popoli ed età diverse, il ruolo del cavallo nella figurazione ha sempre avuto un posto di primo piano. E non è da stupire che un uomo come Baretta così vicino, per temperamento e per elezione a quanto nella natura è schietto e vibrante di vita abbia ripreso, a misura della propria sensibilità e della propria personalità, con passione quel tema. Che è poi anche uno dei più adatti a quel suo modo di disegnare e abbozzare nervoso, rapido e irrequieto, quasi impaziente, fiducioso nella virtù di una rapidità di occhio e di mano che non lo tradiscono.

Ancora un esempio : Le gardian del 1972, con quello stupendo fondo tempestoso, davvero “espressionistico” nel pieno senso della parola, dove la visione del cavallo in libertà e quella del cavallo domato sembrano unirsi in un unico, felice, motivo. Un pezzo di pittura veramente esemplare per ricchezza di effetti cromatici su di un impianto compositivo di felice equilibrio e di sottili rapporti strutturali. Si tratta di un’opera di dimensioni relativamente grandi e il taglio delle immagini diventa quasi monumentale. La capacità di aprire, anche in superfici non grandi, una dimensione di ampiezza atmosferica che si vorrebbe definire “epica” gli ha consentito qualcuna delle visioni paesistiche più intense : si veda per tutte Volterra (Pinacoteca di Pinerolo), chi conosce nella sua realtà fisica quei luoghi che lo hanno ispirato non può non essere colpito dal fatto che l’assoluta fedeltà alla realtà naturale non soltanto non ha in nessun modo limitata la libertà creativa del pittore, ma anzi l’ha esaltata sino a darne, come avviene nei grandi paesisti, un quadro che è assolutamente Baretta in un momento di felicissima estrinsecazione delle sue qualità più autentiche, e nello stesso tempo è un’acutissima interpretazione dei caratteri così inconfondibili di quella parte della terra toscana. Si tratti del suo pinerolese, della Camargue o della Toscana, Baretta ha sempre questa inconfondibile qualità del vero paesista – e chi in vita sua ha dipinto del paesaggio sa bene quanto sia raro il momento di grazia che consente questa totale immedesimazione della sensibilità del pittore coll’ambiente che lo ha ispirato – di restar fedele al meglio di sé quanto più sembra spersonalizzarsi nella riproduzione dello spazio naturale che gli sta innanzi.

Sulla pittura di paesaggio si è scritto molto, specie dall’impressionismo in poi, ma forse non sarebbe inopportuno riprendere il discorso, specialmente per rilevare che lo stesso impressionismo come ciò che ne è seguito, espressionismo e oltre, non sia tanto da intendere come la scoperta della soggettività dell’”impressione” quale tema di una nuova poetica figurale, quanto la possibilità per l’artista di sentire come il rapporto colla natura possa essere per l’uomo uno dei momenti più ricchi della sua esistenza anche interiore e come perciò la rapidità di resa, sia che l’accento cada sull’oggetto “impressionismo” o sulla visione “espressionismo”, non costituisca che il segno di un tempo interiore. Nel caso di Baretta questo “tempo” è particolarmente rapido, e in questo senso egli è più espressionista che impressionista; la sua è rapidità di chi vuole afferrare avidamente il mondo e le cose, non di chi vuole sfuggirvi.

Ernesto Caballo

…..Un discorso, sia pure scorciato, su Baretta, deve partire dai suoi nudi, dai suoi ritratti femminili per contraddire la convenzione e la reticenza di giudizi. Se i nudi cambiano di polarità è sempre all’interno di una permanenza. D’altronde Baretta sa essere neutro anche per questo soggetto, come neutra è la natura; egli vuol dire leggermente (ma non troppo) cose serie. Le sue modelle non sono conchigliate in se stesse. Le circondano raffiche di ritmi magnetici cromatici, verdi, rossi, cobalti e bianchi concertanti; e quando l’artista riesce a trovare l’accordo nascosto, quello risulta sempre il più armonico. Ciò spiega il suo successo innegabile fra il pubblico. Inoltre, non si concede da tempo eccessi di effettismo, nonostante l’invasione di luce, un’implosione ed esplosione di colore trasmesse come dalle scariche di una pila: ne segue un movimento accelerato tra le maglie del modello. Non saranno figure devozionali come nei molti suoi affreschi, ma dimostrano, oltre l’abilità dei sensi, quella del cuore….. Ma è soprattutto nei paesaggi che egli intende risalire alle radici della luce. Baretta non zavorra con note spicciole le composizioni, alterna accensioni liriche agli spazi narranti (la Camargue), viaggia per conoscere una sua geografia particolare, ed ogni volta è un paese nuovo per lui; sa che le risorse del visibilista bisogna non esaurirle ma rinnovarle; talvolta va oltre la pelle della natura in alcune prospettive fugate, negli audaci inquartamenti di colore, nello slancio della redazione dei piani, ma è meglio correggere aforisticamente con l’avvertenza : “la nature vaincue par la nature”. Poi rimonta ai valori primari, come nei cavalli impennati, di forte nervatura, quasi ferini e, tuttavia, sotto il controllo non delle briglie, ma della misura del gesto esecutivo.

Angelo Mistrangelo

Il festoso mercato di Vigone e i cavalli della Camargue, il molo di Castiglione della Pescaia e i rossi e fluenti capelli della modella, costituiscono alcuni dei momenti espressivi della vivace e luminosa tavolozza di Michele Baretta. Impressioni colte con immediatezza, con “slancio”, con un’intensità che si fa apprezzare per la felice resa delle espressionistiche immagini. (Artecentro Quaglino, Piazza San Carlo 177, Torino)

Angelo Dragone

Michele Baretta si direbbe a tutta prima un pittore dalla vena facile; le pennellate simili a guizzanti sciabolate di luce-colore intese a definire il suo esercito di modelle ignude e non, allo stesso modo dei mercati di Vigone, il molo di Castiglione della Pescaia e le valdostane Grandes Jorasses, i ritratti di Elsa o di Elio e Michela. Ma la “personale” che l’ha riportato da Quaglino, (piazza San Carlo 177 sino al 10 aprile), documenta anche il riflesso della cultura “fin di secolo” cui Baretta si riallaccia e la concitazione che lo pone su un versante tipicamente espressionistico.

Claudia Ferraresi

Alla Galleria “Arte 80” in via Cernaia 19, Savigliano, oggi alle ore 17,30 inaugurazione della personale di Michele Baretta, pittore noto, nativo di Vigone, dove risiede. Nell’occasione lo storico prof. Antonino Olmo presenterà la monografia dell’artista edita dall’Artistica Saviglianese, che illustra la produzione dell’autore, che presenzierà alla manifestazione. Michele Baretta oltre che come pittore, che ha allestito dal 1945 ad oggi mostre importanti in gran parte d’Italia, è molto conosciuto come affrescatore di numerosissime chiese del Piemonte. La mostra continua fino al 13 febbraio.

Angelo Dragone

Si svolgono nel pomeriggio a Vigone, dov’era nato a Capodanno del 1916, i funerali del pittore Michele Baretta, stroncato, a pochi mesi dal suo manifestarsi, da un tumore che l’aveva colpito ai polmoni. Ancora qualche settimana fa, tuttavia, ad angosciarlo più del male, era l’impossibilità di intingere i pennelli, come aveva fatto per tutta la vita, nei colori limpidi e puri della sua tavolozza.

Non aveva mai voluto lasciare la sua terra di provincia e c’era chi lo chiamava “il solitario di Vigone”. Ma Baretta s’era sempre sentito egualmente libero di guardarsi intorno, catturando qua e là un segno che poteva rendere il suo ancor più lieve e frizzante o un’accensione cromatica pronta a diventare per lui come una nuova sferzata di luce.

Il paesaggio, Baretta, lo aveva interessato da sempre : quello domestico dipinto lungo le rive del Pellice, come più tardi i campi della Camargue. Allo stesso modo non mancò di misurarsi con l’arte sacra a cui ha legato il suo nome, non soltanto con alcuni dipinti da cavalletto – tra i quali una Crocefissione, tutta rinsaldata dalla tesa atmosfera, che esposta da Fogliato venne poi acquistata da un italo-americano di passaggio – ma soprattutto con alcune significative opere decorative : dalle drammatiche stazioni della Via Crucis dipinta per la parrocchiale di San Luigi a Pinerolo, all’intero ciclo affrescato a Torino (mille metri quadrati di buona pittura) nella cupola e nelle due absidi di Nostra Signora della pace.

E tuttavia non si può pensare a Baretta senza ricordare la sciolta e fine trasparenza dei suoi Fiori. La grazia persino fragile di certe figure femminili che spesso finì col trovare riscontro nelle immagini di tante giovani donne evocate dai più diversi poeti, antichi e moderni, lasciando quasi, da parte sua, una sciolta testimonianza. Una testimonianza di quella acerba gioventù in minigonna, a volte provocante e disinibita nella sua emancipazione, di cui il pittore tendeva a sottolineare la grazia naturale ed elegante, quasi frizzante come l’aria di alcune sue belle vedute parigine. Sicché più d’uno nel suo tratto fu indotto a richiamare il segno guizzante di De Pisis o la sciabolata luminosa con la quale un Boldini costruiva il trionfo dei suoi nudi. Ma ogni volta era la pennellata, con quei suoi tratti di colore puro a fornire a Baretta gli elementi di quel suo ormai inconfondibile linguaggio. Con quel tratto che poté sembrare persino spavaldo. E quei gialli luminosi davvero solari, come il cobalto dei cieli, che del suo riflesso sapeva però anche tingere una “…fanciulla sola / come la melodia blu” di Dino Campana. Toni dominanti che insieme al verde Veronese delle più estese campagne, alle note intense eppur delicate d’un qualche tocco di garanza e al traslucido madreperla capace di illuminare i grigi, che son stati per Baretta la sua quotidiana conquista.

Giorgio Barberis

Vinto da un male incurabile che negli ultimi tempi non gli aveva neanche più permesso di accostarsi a tele e colori, con suo grande rincrescimento, il 14 u.s. si è spento a Vigone uno dei più interessanti autori del ‘900 piemontese: Michele Baretta. Nato il primo gennaio del 1916 nella stessa Vigone, Baretta aveva iniziato a disegnare e dipingere in giovane età utilizzando i colori da muratore del padre capomastro.

Negli anni dal 1929 al 1935 frequentò la Scuola del Reffo a Torino dalla quale tuttavia si discostò per seguire un’impronta decisamente più personale. Dopo la parentesi bellica iniziò una serie di viaggi di studio e lavoro pittorico soggiornando in tutta Italia per allargare poi il suo giro alla Norvegia, l’Olanda, l’Egitto e la Francia dove, dalla affascinante Camargue, trasse le sue migliori opere paesistiche.

Particolarmente conosciuto dai collezionisti per le sue figure femminili, i ritratti, i mercatini della cintura torinese, Baretta ha dato il meglio della sua espressione pittorica anche nelle fresche composizioni floreali e nei tagli dedicati ai cavalli e alle vallate montane.

Affabile e gioviale (nel suo studio non è mai mancato un buon bicchiere di dolcetto) ha sempre presentato il proprio lavoro non come un bene commerciale né come la più preziosa delle opere di questo mondo e si estraniato da compiacevoli lodi di enciclopedie e cataloghi ad hoc suscitando contemporaneamente consensi ben più vasti dei già appetibili confini territoriali.

Innumerevoli le personali e collettive tenute un po’ ovunque che ne hanno portato i lavori in collezioni pubbliche (Museo Nazionale della Cavalleria-Pinerolo, Museo d’Arte Moderna-Vibo Valentia, …) e private e che lo hanno sottoposto all’attenzione di critici quali L. Carluccio, M. Bernardi, A. Galvano, A. Dragone.

Molti infine, hanno cercato di seguirne le orme, ma con risultati assai scarsi, per cui non resta che piangere una tale grave perdita per l’arte augurandoci che il lavoro rimasto venga gestito nel modo migliore possibile.

Mario Marchiando Pacchiola

Ricordate i piloni votivi del dopoguerra sparsi tra il grano ? La matrice della Scuala del Reffo di Torino che frequentò tra gli anni 1929-1935, la collaborazione con Piero Dalle Ceste ?

Il Cristo dell’ultimo Baretta è un Cristo che partecipa alla fatica e al dolore dell’uomo contemporaneo, un Cristo lacerato. Non è mera compiacenza stilistica, ma trasmissione visiva del dramma, stimolo alla meditazione e alla riflessione della parola di Dio, frutto di una ricerca appassionata, prima di essere invito alla contemplazione.

Dal mistero dell’incarnazione, l’Annunciata, alla Natività proclamata “in primis” alla gente umile e limpida, ai pastori. Ancora Baretta tenta nuove vie iconografiche sull’inesauribile e sublime tema della maternità, compone ed anima figure e personaggi della narrazione evangelica.

Momenti di entusiasmo si accendono di colore e di vibrazioni nelle pagine degli incontri di Cristo con la folla. Folla di bimbi vispi ed allegri ch’Egli ama intensamente. Folla che piena di gioia e a gran voce si mette a lodare Dio, gridando “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” quand’Egli, scendendo dal Monte degli Ulivi, s’avvia verso Gerusalemme.

L’Osanna prelude il “crucifige”, l’entusiasmo si collega e contrasta col silenzio delle tre croci : il tutto condotto da un’impostazione prospettica esaltante. “Questo è il mio sangue, questo è il mio corpo…” : l’ultima cena di Cristo con gli apostoli è affrontata dal nostro pittore come momento di alta elevazione, la stessa figura di Cristo suggerisce qualcosa di più alto di un comune convito tra amici e discepoli.

Il dramma umano e la speranza divina ci coinvolgono sul Golgota in una azione mossa e articolata. E’ la folgore del venerdì santo che ci prende.

Pietà pittoriche e scultoree e compianti letterari e poetici, scaturiti da venti secoli dalle menti e dai cuori degli artisti, traducono il dolore di una Madre.

Anche l’iconografia cosiddetta laica ha spesso identificato nel dolore di Maria di Nazareth il pianto di tante madri per i figlioli vittime di ogni violenza fisica e morale.

Vigorosa, ma soprattutto trasparente ed eterea, la Resurrezione sottolinea la vittoria sulla morte. “Perché cercate il Vivente tra i morti ? Non abbiate paura! E’ risorto come aveva detto.” Gli apostoli stentano a credere finché Egli stesso rompe ogni timore ed appare in mezzo a loro e dice : “Pace a voi”.

E’ un sentire da uomo che vive il proprio tempo, con i dubbi, le incertezze, ma anche con tutte le speranze e i valori perenni che la tematica sacra suggerisce.

“Piccola grande rivoluzione” anche per le figurazioni così dette profane, pur esse ispirate a un sentire religioso sacrale.

Al poeta della grazia, irrompe prepotente ed energica l’inquietudine esistenziale dell’uomo contemporaneo che afferra la vita con i suoi ardori.

Il tema del nudo e del pittore con modella, variegato nella concezione compositiva e nelle tonalità cromatiche, offre all’artista il pretesto per liberare le figure nell’insieme spaziale : attorno ai pur misurati personaggi, letti con una sottile esplorazione interiore di sentimenti, rotea una forte sensazione di impasti materici ora rossi, ora neri, ora gialli o turchesi o violetti, “buttati” sulla tela con virile incisività.

Ecco la “rivoluzione barettiana” : essa è maturazione di espressione, di stati d’animo, è confronto. Alla dolcezza si affianca il vigore, alla grazia la passione, ai cieli tersi quelli corruschi, temibili e tempestosi.

Lucio Cabutti

…..In generale, il suo itinerario espressivo muove da una prevalenza di metaforici “eterni ritorni” (ossia di costrizioni, necessità di committenza, ripetizioni di modelli ottocenteschi e tradizionali, fuori dalla metafora, vissute come figure e forme e manifestazioni di un “vero” percepito o allegorizzato nel segno dell’eternità) verso una febbrile visione dell’esistenza sentita come fugacità, vita che non ritorna, ombra leggera di un attimo amato che scompare per sempre. Così quel “leggermente” che aveva fatto la sua comparsa nella presentazione torinese del 1982 prima citata, può trasformarsi, rovesciata la frase, da comparsa ad attore : in una decifrazione filologica a lungo termine, Baretta sa dire seriamente (ma non troppo) cose leggere.

In una considerazione dimensionata sui tempi lunghi della storia, le ragioni remote e i termini della sua rappresentazione risalgono al crepuscolo della certezza ottica maturata nel secolo scorso, al declino della fiducia ottocentesca nella realtà del fotogramma, e più in particolare ai modi che ne hanno allontanata la crisi attraverso il virtuosismo di una stenografica gestualità, il velocismo stramaturo dello spettacolo, la bravura del mestiere : risalgono cioè a quelle che Renato Barilli ha recentemente denominato (nel catalogo della mostra Milanese a Palazzo Reale Il secondo ‘800 italiano. Le poetiche del vero. Mazzotta, Milano 1988) “la corruzione del vero”, rivalutando in questa chiave “i meriti di Giovanni Boldini”, tra cui quello di non mettersi alla scuola degli impressionisti ma di “fare da sé, sviluppare un linguaggio mondano fino alle ultime conseguenze”, e di aprire la strada ai giovani “destinati quindi ad accentuare la frequentazione del vero, a farla precipitare in un verismo accidentato, corruttibile per troppa maturità”. E già Gertrude Stein aveva scritto che “quando i tempi avranno situato i valori al loro giusto posto, Boldini sarà considerato il più grande pittore del secolo scorso. Tutta la nuova scuola è nata da lui perché egli, per primo, ha semplificato la linea e i piani”.

Non per caso uno dei primi estimatori di Baretta, Marziano Bernardi, tifoso dell’ottocento, aveva scritto su “La Stampa” che in questo pittore “la rapida pennellata trasversale, quando segna linee paesistiche o definisce la forma umana, rammenta quella di Boldini”. Anche altri nomi si potrebbero fare, o sono stati fatti, per analizzare più in dettaglio le fonti e le affinità elettive e le origini degli echi; ma qui basti aver accennato a questa possibilità di associare certe tecniche Barettiane, e la concezione che esse comportano, a una intermittente tradizione gestuale riscontrabile anche in altri secoli nell’arte colta come in quella popolare : nella corsività narrativa settecentesca, per esempio, o perfino in alcuni momenti della pittura antica di area greca, romana od ellenistica.

C’è infine tutto il versante della contemporaneità, da analizzare, per cogliere nell’opera di Baretta le connessioni con la cronaca e la storia del proprio tempo. Accanto alle reminiscenze di stampo ottocentesco, infatti, e ad altre vie di confronto con la visione a tempi lunghi del passato, la partecipazione del pittore all’iconografia “parlata” dei suoi contemporanei (cioè ai modi di guardare operanti nella vita di tutti i giorni, nel costume visivo come nei mezzi di comunicazione e di fruizione usati da un pubblico ben più vasto di quello specificamente coinvolto nell’arte) costituisce un dato di riferimento di primaria importanza. E qui, oltre alla tematica sacra e alla rielaborazione di alcuni fra i più tipici “generi” tradizionali, si ritrovano ulteriori motivi iconografici : non solo quelli relativi a una diffusa, comune idea dell’arte e dell’artista spaziante tra il mito e il costume, o a un erotismo di volta in volta gentile e allusivo oppure aperto e frizzante, ma anche, per esempio, i motivi e stilemi rapportabili al moderno “genere” della illustrazione. Questo aspetto integrante della comunicativa Barettiana è riaffermato da alcuni libri in cui è presente come illustratore (da Poesie di provincia di Ugo Marino, 1974, e Il tesoro di Brighella sempre di Marino, fino ad Arsura di Nello Manduca, 1978, oltre a una copertina per il “Civico Teatro Milanollo”, 1984 e alcuni Vademecum pinerolese finora rintracciati) ma si riscontra anche e soprattutto come componente attiva dell’opera pittorica sacra e profana. Tra gli ulteriori interventi in altri campi sono ancora da ricordare la scenografia dell’opera “La valle delle coccinelle” ideata negli anni Sessanta per il Teatro Alfieri di Torino, i bozzetti e la realizzazione di carri allegorici per il carnevale, e diversi disegni per la pubblicità e per le confezioni di alcune ditte (Caffarel, Groder, Panettone Galup).

Così ancora una volta, nelle opere occasionali come nella continuità della sua pittura, la leggerezza e la pesantezza di esistere e di lavorare celebrano ritualmente la loro singolare tenzone : una sfida e un coinvolgimento interattivo di cui, in definitiva, non possono sentenziarsi né vincitori né vinti. Perché il senso dell’opera di Baretta consiste proprio nella loro reciproca relazione, nelle vicende fenomenologiche delle loro tensioni e figure simboliche, nelle molteplici forme assunte da una vitalità esistenziata tra l’essere e il nulla, avvalorata dalla amata, struggente, insostenibile leggerezza del dipingere.

Angelo Dragone

Una mostra antologica (aperta fino al 13 novembre a Palazzo Vittone a Pinerolo) e la pubblicazione del relativo catalogo tra “I Quaderni della Collezione Civica d’Arte” curate entrambe da Mario Marchiando Pacchiola, sono dedicate all’istintivo talento di Michele Baretta, il pittore vigonese scomparso un anno fa.

La sua era stata una vita di fecondo lavoro e ne recano testimonianza gli oltre duemila “pezzi” fin qui schedati fra i quali molte vedute e paesaggi, ritratti, nature morte e composizioni di figura d’ogni genere : dai soggetti sacri, alcuni dei quali finiti persino in collezioni americane, al ritratto e al nudo, con quella che potrebbe dirsi la sua pittura “di costume” per la diretta ispirazione dal quotidiano. Ed erano dipinti, vivaci di segno e spesso festosi di colore, accomunati tutti da una singolare scioltezza di modi in cui “la qualità si svolge nel segno della leggerezza” (Cabutti): una qualità che gli era valsa i più larghi consensi.

Era nato nel 1916 a Vigone, dove aveva vissuto lasciando memoria di sé anche come “pittore di Santi e di Madonne” , ma aveva spesso operato nel suo Piemonte, dalla Val Germanasca a Bardonecchia, con puntate sulla riviera di Varazze, e soggiorni a Parigi e nella Camargue, dove aveva fatto ogni volta razzia di luce e colori, così da nutrirne le sciabolate dei suoi pennelli. E non senza prediligere figure di vecchi, nei dipinti giovanili, e, fino all’ultimo, la gioventù più libera dei nostri giorni nelle opere mature dove il vigore e la grazia trovano accenti di autentica sensibilità e rara sincerità.

Lucia Grinfone

Amava ritrarsi accanto alle immagini femminili celebrate nel suo mondo intessuto di gesti e di emozioni quotidiane. Michele Baretta (Vigone, Torino, 1916-1987) si è dipinto spesso con le sue modelle, fra cui Elsa De Agostini, una nota pittrice naïve. Ma è stato anche autore di numerosi interventi nel campo dell’arte sacra.

Affiancata dal Quaderno 19 della Collezione Civica, la mostra antologica è anche il primo tempo di una rilettura dell’opera in un più ampio contesto storico e problematico. Ne valorizza quindi i rapporti fra tradizione e innovazione, continuità e irripetibilità, “pesantezza e leggerezza” dell’esistenza.

Tra i riferimenti alla gestualità impulsiva ottocentesca e di altri secoli, e quelli alla comunicativa di una iconografia contemporanea “parlata” e vissuta (illustrazione compresa), Baretta ha rivendicato la positiva, contrastata, “insostenibile” leggerezza del dipingere.

Angelo Mistrangelo